La Traccia a Roma dal Papa – 10 maggio

Sono circa trecentomila, (2000 da Bergamo) le stime della Radiovaticana, le persone in piazza San Pietro e dintorni per l’incontro del Papa con la scuola italiana, organizzato dalla Cei e al quale si stimava la presenza di 150mila persone. Papa Bergoglio arrivato in piazza ha compiuto un giro sulla jeep, anche a via della Conciliazione dove era concentrata la presenza de La Traccia e dell’istituto VEST di Clusone presenti in 300  fra genitori, insegnanti e alunni.

L’incontro si articolato tra canti e letture di brani di autori tra cui Don Milani. Testimonianze fra cui quella del l’astrofisico prof.Bersanelli e di numerose scuole  come Oliver Twist e Cometa  di Como. Presenti il presidente dei vescovi italiani Angelo Bagnasco e il ministro della Istruzione Stefania Giannini. Piazza San Pietro e il colonnato del Bernini sono oggi “una immensa aula che si prolunga fino a Castel Sant’Angelo per accogliere tutte le persone che festeggiano con noi ed evocare tutte le scuole che sono in Italia” ha detto Bagnasco, mentre il ministro ha espresso “l’emozione sincera” non solo sua personale ma “di tutti i ragazzi che vede in questa splendida piazza, tanti, veramente tanti – ha detto – che da tutta Italia sono qui in questa classe speciale per una lezione speciale”.

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Discorso del Santo Padre

Cari amici buonasera!

Prima di tutto vi ringrazio, perché avete realizzato una cosa proprio bella! Questo incontro è molto buono: un grande incontro della scuola italiana, tutta la scuola: piccoli e grandi; insegnanti, personale non docente, alunni e genitori; statale e non statale… Ringrazio il Cardinale Bagnasco, il Ministro Giannini, e tutti quanti hanno collaborato; e queste testimonianze, veramente belle, importanti. Ho sentito tante cose belle, che mi hanno fatto bene! Si vede che questa manifestazione non è “contro”, è “per”! Non è un lamento, è una festa! Una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo. Ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola. E dico “noi” perché io amo la scuola, io l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante. E poi da Vescovo. Nella Diocesi di Buenos Aires incontravo spesso il mondo della scuola, e oggi vi ringrazio per aver preparato questo incontro, che però non è di Roma ma di tutta l’Italia. Per questo vi ringrazio tanto. Grazie!

Perché amo la scuola? Proverò a dirvelo. Ho un’immagine. Ho sentito qui che non si cresce da soli e che è sempre uno sguardo che ti aiuta a crescere. E ho l’immagine del mio primo insegnante, quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola. E poi io sono andato a trovarla durante tutta la sua vita fino al momento in cui è mancata, a 98 anni. E quest’immagine mi fa bene! Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amarla. Questo è il primo motivo perché io amo la scuola.

Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, – è questo il segreto, imparare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani.

Gli insegnanti sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà – ho sentito le testimonianze dei vostri insegnanti; mi ha fatto piacere sentirli tanto aperti alla realtà – con la mente sempre aperta a imparare! Perché se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno “fiuto”, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti. Questo è uno dei motivi perché io amo la scuola.

Un altro motivo è che la scuola è un luogo di incontro. Perché tutti noi siamo in cammino, avviando un processo, avviando una strada. E ho sentito che la scuola – l’abbiamo sentito tutti oggi – non è un parcheggio. E’ un luogo di incontro nel cammino. Si incontrano i compagni; si incontrano gli insegnanti; si incontra il personale assistente. I genitori incontrano i professori; il preside incontra le famiglie, eccetera. E’ un luogo di incontro. E noi oggi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme. E questo è fondamentale proprio nell’età della crescita, come un complemento alla famiglia. La famiglia è il primo nucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci accompagna sempre nella vita. Ma a scuola noi “socializziamo”: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine, per capacità. La scuola è la prima società che integra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte! Sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco. E le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnanti. Questo fa pensare a un proverbio africano tanto bello: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, professori, tutti! Vi piace questo proverbio africano? Vi piace? Diciamolo insieme: per educare un figlio ci vuole un villaggio! Insieme! Per educare un figlio ci vuole un villaggio! E pensate a questo.

E poi amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. E nell’educazione è tanto importante quello che abbiamo sentito anche oggi: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca! Ricordatevelo! Questo ci farà bene per la vita. Diciamolo insieme: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Tutti insieme! E’ sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca!

La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. E questo avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti “ingredienti”. Ecco perché ci sono tante discipline! Perché lo sviluppo è frutto di diversi elementi che agiscono insieme e stimolano l’intelligenza, la coscienza, l’affettività, il corpo, eccetera. Per esempio, se studio questa Piazza, Piazza San Pietro, apprendo cose di architettura, di storia, di religione, anche di astronomia – l’obelisco richiama il sole, ma pochi sanno che questa piazza è anche una grande meridiana.

In questo modo coltiviamo in noi il vero, il bene e il bello; e impariamo che queste tre dimensioni non sono mai separate, ma sempre intrecciate. Se una cosa è vera, è buona ed è bella; se è bella, è buona ed è vera; e se è buona, è vera ed è bella. E insieme questi elementi ci fanno crescere e ci aiutano ad amare la vita, anche quando stiamo male, anche in mezzo ai problemi. La vera educazione ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita!

E finalmente vorrei dire che nella scuola non solo impariamo conoscenze, contenuti, ma impariamo anche abitudini e valori. Si educa per conoscere tante cose, cioè tanti contenuti importanti, per avere certe abitudini e anche per assumere i valori. E questo è molto importante. Auguro a tutti voi, genitori, insegnanti, persone che lavorano nella scuola, studenti, una bella strada nella scuola, una strada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura deve sapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani. Ma, armoniosamente, cioè pensare quello che tu senti e quello che tu fai; sentire bene quello che tu pensi e quello che tu fai; e fare bene quello che tu pensi e quello che tu senti. Le tre lingue, armoniose e insieme! Grazie ancora agli organizzatori di questa giornata e a tutti voi che siete venuti. E per favore… per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola! Grazie!

Testimonianza del prof. Marco Bersanelli

Professore di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano
Presidente della Fondazione Sacro Cuore per l’Educazione dei Giovani

 

Ho la fortuna di fare il mestiere che sognavo fin da quando ero un ragazzino di seconda media. Mi ricordo quando, all’età di 12-13 anni, guardando il cielo stellato cercavo di immaginare “che cosa c’è più in là”, più lontano di ciò che vedevo con i miei occhi, oltre le stelle, dietro a tutto. Oggi il mio lavoro è proprio questo, studiare l’universo nelle sue più lontane periferie, a distanze che si misurano in miliardi di anni luce. La scienza oggi ci permette di contemplare la bellezza della creazione non solo nelle profondità dello spazio, ma anche di risalire indietro nel tempo fino a osservare l’universo nei suoi primi istanti (quasi 14 miliardi di anni fa) e di ricostruire, sia pure approssimativamente, le tappe principali della sua storia. La possibilità stessa della vita, e della nostra esistenza fisica, è stata preparata con pazienza negli abissi del tempo cosmico. Spesso mi tornano in mente, con commozione, le parole del salmo (138:15):

«Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra»

Ognuno di noi è stato intessuto nelle profondità di questa “terra cosmica”, e al tempo stesso ogni uomo ha in sé qualcosa che lo rende irriducibile a tutti gli antecedenti fisici e biologici, più grande di tutto ciò che lo precede e lo circonda: l’io di ciascuno di noi è rapporto diretto con l’infinito, «fatto a immagine e somiglianza di Dio», reso unico dalla sua libertà. Così quando penso ai ragazzi dell’università in cui insegno, o agli studenti della scuola a cui collaboro, mi domando: ma troveranno qualcuno, fra noi adulti, in grado di prendere sul serio quella gemma preziosa che è la loro libertà? Incontreranno nella loro vita testimoni credibili che sappiano riconoscere e sostenere quel grido irriducibile di bellezza, di verità, di felicità, che il Creatore ha messo nel loro cuore? In questo senso, a ben vedere, il nostro compito di educatori è veramente il compito più vertiginoso che un uomo possa concepire. Educare un bimbo, un ragazzino, un adolescente, significa prendersi cura di quel “prodigio” della creazione che tutta la storia dell’universo concorre ad esprimere, significa collaborare al gesto creativo di Dio nel modo più diretto possibile.

Per questo per educare non basta trasmettere una collezione di nozioni, come a volte siamo tentati di fare. Lo struggimento che condivido con gli amici della scuola è che si possa destare nei giovani un interesse vivo e personale per la realtà, in tutti i suoi aspetti particolari e nel suo significato totale; che i ragazzi possano scoprire, insieme ai contenuti specifici di ogni materia, il gusto di condividere con gli altri il frutto proprio lavoro. «Nella scuola» ci ha ricordato Papa Francesco «l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù del grande e del piccolo … che ci fa guardare sempre l’orizzonte.»

Al di fuori di questa magnanimità, lo studio così come la ricerca scientifica, alla fine ci rendono presuntuosi, aridi, e ultimamente insoddisfatti. Ce lo ricorda Gesù, il cui sguardo sull’uomo è l’abisso più grande di tenerezza che si possa concepire: «A che giova all’uomo guadagnare l’universo intero, se poi perde se stesso?»

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