Venezia, Seconde Liceo

#unaVeneziachenontiaspetti

Ore 5.00. Sveglia. L’inizio di una lunga giornata, l’inizio di una nuova gita, una nuova avventura alla scoperta della nostra cultura e della nostra storia.
Calcinate. Il parcheggio vuoto, i lampioni ancora accesi e il cielo ancora troppo nero. Il pullman che ci avrebbe accompagnato durante la nostra gita era fermo al suo posto di sosta come un naufrago su un’isola deserta. La mattina doveva ancora nascere, soprattutto in tutti noi.
L’appello. Tutti presenti. Pochi, ma buoni. Il pullman comincia a muoversi, il nostro viaggio ha inizio.
Direzione Padova, ci aspettano gli affreschi di Giotto. Qui, dopo alcune ore di viaggio, il risveglio: il dialetto veneto, la luce del sole padovano, la breve camminata per arrivare alla chiesa, la Cappella degli Scrovegni provocano il risveglio completo di tutti i nostri sensi. Dobbiamo essere pronti per la coraggiosa spiegazione della nostra professoressa.
Entriamo divisi in tre gruppi in quella piccola, ma grande, stanza. La parola passa alla profe. Diretta, squillante, preparata, ci guida sui passi di Giotto. Tutti ammaliati da quella storia impressa sui muri da centinaia d’anni, che tutt’oggi sta alla base del nostro credo.
Il giudizio universale. Immenso.
Il soffitto. Stellato.
Di nuovo sul pullman. Direzione Venezia.
Basta poco meno di un’ora per vedere il mare.
 
Il traghetto.
Un vento leggero, la vista di Piazza San Marco, alcune canzoni accompagnano la nostra lunga traversata per arrivare a Torcello. Piccola isola, 17 abitanti, un solo gioiello: la basilica.
Radioline. Di nuovo pronti per una spiegazione. Canale 75. Voce la profe.
All’interno della basilica un solo colore accecante, quasi divino: l’oro. I mosaici.
Davanti a noi la Madonna, così pura, così madre.
Dietro di noi il giudizio universale. Un po’strano ma comprensibile, decorato interamente da piccoli tasselli che creavano un qualcosa di davvero unico.
 
Di nuovo sul battello. Burano.
Isola conosciuta per i pizzi e i ricami che tempestano ogni singolo negozietto. Fanno da cornice casette tinteggiate di ogni colore e in mezzo a quella lieve nebbiolina illuminano i canali e il paese.
Tutto in miniatura, tutto così fragile ma così pittoresco.
Il sole comincia a calare. Il campanile pendente dell’isola ci indica la via dell’hotel. L’ultima tratta sul battello.
Finalmente Venezia.
Il cammino, le piccole valigie, una lunga carovana. Da Calcinate con furore.
Tra le viuzze strette e tra qualche capriccio del nostro navigatore, arriviamo all’albergo.
La routine delle camere, la doccia, la cena.
Una serata di gioco e di divertimento mette fine ad una giornata intensa.
Buona notte. O forse.
Giorno successivo, ore 7.15. Il telefono suona. Sveglia. Colazione.
Con un po’di fretta ci dirigiamo alla famosa fabbrica Orsoni dalla quale escono i più pregiati componenti vitrei dei mosaici.
Breve introduzione della guida, si entra nella fucina. è Estate.
Tra temperature elevatissime il vetro sciolto viene lavorato da abili “bracci di ferro”.
Il magazzino. Le pareti dipinte da infinite piastre di ogni tinta pronte per essere tagliate.
 
Il taglio. La velocità delle lavoratrici. Il diamante che incide il vetro come burro. Un listino prezzi da far paura.
 
La camminata più lunga e poi Piazza San Marco. Gli immensi edifici regnano in una piazza gremita. Come formiche sotto il campanile.
Il pranzo poi la basilica di San Marco. 8000 metri quadrati di mosaici sopra la nostra testa. Gli occhi all’insù. Quella luce oro illumina ogni singola persona all’interno della chiesa.
Inondati di bellezza.
Gli ultimi selfie da postare, gli ultimi sguardi, gli ultimi attimi in una Venezia ancora più bella perché decorata dal tramonto.
Il pullman, il viaggio, il letto.
Driiiin, la scuola.